Lockdown alla Veneziana
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Will Winning
Column III
In January this year, I travelled to Venice to begin a period as a research student attached to Ca’ Foscari University. My arrival in the city coincided almost exactly with the beginnings of the pandemic, and I quickly found myself stuck in a city famous for plague and death. To make the situation even more perfect, I moved from my first flat (in which every kitchen appliance threatened death by electric shock) to a flat next to the hospital and opposite the city’s cemetery on the island of San Michele. Then the lockdown began. It was almost too good to be true.
But once the lockdown ended, the situation changed entirely. The absence of tourists and many of my fellow students gave me the glorious opportunity to experience the beauty and vitality of the city in conditions unparalleled in recent history. In this and the next three articles, I will be describing some of my reflections on the city during that period. Serenissima? I don’t think so!
Che facevano i veneziani durante il lockdown quando tutti i turisti del mondo se ne sono tornati a casa, lasciando per la prima volta in tanti anni agli abitanti della Serenissima l’occasione per godersi liberamente la loro città? E come ci si divertiva dopo la fine del lockdown, quando era finalmente consentito lasciare il proprio domicilio per andare a spasso e incontrare degli amici prima dell’inevitabile ritorno dei turisti?
All’inizio del lockdown non si può negare che la città aveva un aspetto lugubre e funesto. Questi erano i tempi degli scontri dei detenuti nelle prigioni in Italia, infatti la strada in cui abitavo in questo periodo era spesso affollata dai carabinieri mentre provavano a mettere sotto controllo la violenza nella galera davanti a casa nostra. Mentre si aspettava in fila per fare la spesa nel piccolo supermercato vicino al palazzo, si sentivano grida e urla dei detenuti che a volte lanciavano pure sedie di metallo sulla gente che tornava a casa. Stavano protestando contro le restrizioni sulle visite dei loro parenti, i quali non potevano venire a trovarli per via delle misure messe in atto dal governo. Mi veniva spesso un brivido a sentire le loro grida che sembravano dare voce pure ai nostri sentimenti di ansia e timore. Ma mi ricordava anche quanto io e i miei coinquilini eravamo fortunati ad avere una casa nostra e quanto la situazione sarebbe stata peggiore se fossimo stati al loro posto.
In ogni caso, non è una novità che a Venezia si protesti contro le condizioni in galera. Lo dimostrano i vecchi graffiti come “Fuoco alle galere” che si trovano in tutte le strade intorno alla prigione in Dorsoduro. Il caos scatenato dalla pandemia, spesso mi dicevano i miei vicini di casa, rappresenta solo l’intensificarsi dei problemi già esistenti da decenni.
Pochi giorni dopo gli scontri nelle galere mi sono trasferito a Cannaregio, dove abitava un mio amico, e lì trascorsi la maggior parte del lockdown. Cannaregio è al nord di Venezia ed è uno dei sestieri più “veneziani” di Venezia. L’unico mezzo per incontrare gli abitanti della zona, però, era scambiare due parole mentre si aspettava in fila davanti al supermercato. In questo modo ho conosciuto il fruttivendolo che mi ha introdotto ai fiori di zucca (buonissimi, ma purtroppo difficili da trovare in Inghilterra); una donna anziana francese che mi parlava sempre del cibo; e soprattutto i veri signori e signore di Venezia, i cani. I cani di Venezia sono di diverse dimensioni e colori e hanno caratteri diversissimi. Ma una caratteristica ce l’hanno in comune: la bellezza. Quando io e il mio amico non avevamo niente da fare, passavamo interi pomeriggi semplicemente a guardare i cani veneziani dal nostro balcone, bevendo bicchieri di prosecco veneto mentre le sirene delle barche-ambulanze risuonavano nelle vicinanze.
La nostra vita in quei mesi era così: guardare i cani dal balcone, cacciare via la famiglia di piccioni che abitava sotto il balcone di un altro palazzo e i gabbiani che sembravano stare sempre meglio con l’avanzamento del lockdown. A un certo punto, però, potevamo camminare di nuovo nella città. Passeggiando attraverso le calli e i campi, vedevamo ragazzi che giocavano a calcio, nonni e nonne mascherati e seduti su panchine a leggere i giornali, famiglie che passavano il tempo chiacchierando e ridendo mentre i loro figli giocavano a nascondino.
Durante uno dei nostri giri per Venezia ho scoperto che la vista della città cambia a seconda dell’ora del giorno. A un punto difficile da precisare nel pomeriggio Venezia è bagnata in una sorta di luce fantastica, che la rende ancora più bella fino alla sera. È difficile capire la qualità di questa luce per chi è abituato al clima più nebbioso di Cambridge. La luce di East Anglia serve solo a chiarire, a rendere le cose più visibili all’occhio; la luce di Venezia invece possiede un suo unico carattere. Non solo illumina la città, la trasfigura. Sotto i raggi del sole, Venezia subisce innumerevoli trasformazioni.
Ora diviene la Serenissima Repubblica del vecchio passato, ora la città di oggi; ora assomiglia a un dipinto di Canaletto, ora a un telo ambiguo e affascinante di Giorgione o Tiziano. Brilla come un cristallo senza perdere niente del suo mistero né la sua potenza di suscitare la meraviglia di chi la guarda. A quest’ora Venezia sembra essere fatta sia di realtà sia di sogni. Se dovessi spiegare com’è Venezia veramente, non proverei neanche a descriverla in parole, ma cercherei di mostrarla attraverso immagini. E non c’è nessun modo per vederla meglio, secondo me, che osservare la Serenissima da uno dei suoi ponti nella luce pomeridiana.
Will Winning is a third year PhD student in Classics at Cambridge. Asides from his studies, he has worked in publishing and is interested in music, travelling, and anything to do with Italy. He spent January to August this year as a visiting student at Ca' Foscari University, Venice.